12 febbraio 2011

IL PALIO NON DEVE MORIRE





L'associazione “Palio Remiero delle Contrade di Cavallino Treporti” è nata nel 2000 con lo scopo promuovere il movimento della Voga alla Veneta all'interno del comune di Cavallino Treporti, facendo in essa rivivere l'antico spirito di Contrada, che da sempre ha affratellato in terra e, appassionatamente diviso in barca, i vecchi come i nuovi contradaioli.


Le dodici contrade sono così chiamate:

  1. Faro Piave Vecchia
  2. Cavallino
  3. Ca' Di Valle
  4. Ca' Ballarin
  5. Ca' Vio
  6. Ca' Pasquali
  7. Ca' Savio
  8. Punta Sabbioni
  9. Treporti
  10. Saccagnana
  11. Lio Piccolo
  12. Mesole

Ognuna ha la sua storia, ognuna è eguale, ognuna è diversa: ognuna è tutta da scoprire!

Si perdono nel tempo le origini dalla parola Contrada, l'ipotesi più accreditata è che tale parola derivi dal latino “cum-strata, dove il termine ″strata″, deriva dal participio ″stratum″ del verbo ″stèrnere″, nel significato di ″ricoperto, lastricato″.

In italiano″strata″ è diventato poi ″strada″, arricchendosi dell'ulteriore significato di percorso da seguire per andare da un posto ad un altro: una origine simile ha il nome del paese di Stra', dove sulla riva sinistra del Brenta si affaccia maestosamente la settecentesca villa Pisani.

Il taglio della ″ta″ finale come indicato dall'apostrofo - tipico del nostro dialetto, dove ad esempio, ″cantato″ diventa subito ″cantà″ e ″portato″ si trasforma in ″portà″- ci fa capire che il luogo era chiamato dagli antichi abitatori ″Strata″, appunto ad indicare che di là passava una strada.

A noi piace pensare che il ″cum″, che sta prima di ″strata″, e che letteralmente significa ″con″, sia qui messo nel senso di ″assieme″, nello stesso modo per cui ″compagno″ viene da ″cum-pane″, ad indicare cioè colui con cui si mangia assieme, o meglio, si condivide il pane.

Allora già pronunciandola, la parola Contrada, ci dà un senso di appartenenza, un senso di fratellanza, un senso di comunione, una tenerezza, che ce la rendono subito cara e dolcemente sentiamo che, calda e preziosa, ci scioglie dentro qualcosa, nel nostro cuore: Contrada , dove sono le nostre care radici, Contrada dove sono i nostri ricordi più belli: qui i nostri vecchi, qui tanti amici.

Così ci vengono in mente quelli che una volta abbiamo, da bambini, accompagnato, in pieno sole, finita la pesca, ormai passati i brividi dell'alba sull'acqua immobile della laguna, o quelli che abbiamo accompagnato, finito il lavoro nei campi, nell'aria tiepida della sera, tornando insieme per la strada di casa.

Camminiamo ancora, in silenzio, lungo le sterrate che vanno alle case isolate, tra il verde intenso dei campi e lo scintillio dell'acqua nei canali, tra le barene profumate di salso e di alghe dove, d'estate, all'improvviso, nell'acqua appena increspata dalla brezza di mare, guizzano i pesci e camminano le garzette.

In lontananza il campanile di Lio Piccolo sbuca da dietro la strada che corre sinuosa con il suo asfalto rovente sopra l'argine rialzato, e a mezzogiorno dalla base delle ripide sponde, tra i sassi bianchi lambiti dall'acqua, si ode il canto delle cicale.

È ormai primavera, quando ci si trova alla sera dal Capo-Contrada a parlare della prossima festa: chi procurerà da mangiare: la pasta e fagioli, i bigoli in salsa, i fagioli bianchi con le cipolle, i folpetti, salame e soppressa, le trippe, gli ossetti, il pesce fritto, la polenta e il pane, e le donne faranno le torte; chi porterà l'acqua, il vino e la birra, le bibite, il caffè; nulla deve mancare: chi sistemerà la cucina, chi preparerà le sedie, i tavoli, gli ombrelloni, il palco e gli addobbi.

Si decide per la pesca-lotteria, si trovano i premi: facciamo venire un cantante, sentiamo in comune, chi viene, sentiamo chi fa il discorso. Si decidono gli equipaggi per la regata: ″dài Marco, dài Bepi, 'sto anno vincemo noiantri, 'sto anno i femo tutti morire″. Ormai è notte, si torna a casa eccitati, nel cielo nero, sopra ai campi e alle barene, luccica in silenzio un trionfo di stelle; già si avvicina il solstizio d'estate.

Il tempo è finalmente arrivato, per un mese è festa tra le rive, sulle strade, sulle piazze, addobbate di festoni e ghirlande, con i vessilli della contrada; passando tra luci e colori tutti parlano delle barche, tutti fanno pronostici sui risultati delle regate.

Il giorno del Palio si svolgono quattro sfide: una di giovanissimi su pupparini, una di donne con le mascarete, la classica dei campioni e la regata dei contradaioli, con le caorline del nostro comune, la più attesa di tutte.

Al mattino, il prato della Canottieri Treporti, ancora umido di rugiada, trabocca di persone intente agli ultimi preparativi; i Capi-Contrada lanciando complici occhiate preparano il rinfresco e il pranzo, intanto da ogni angolo della laguna, remando, arrivano sulle barche veloci i partecipanti al grande corteo.

I regatanti con finta pazienza finiscono di lucidare il fondo delle barche, per renderlo più liscio; attorno ci sono i parenti e gli amici dei vogatori e tutti i curiosi: impaziente ognuno guarda e partecipa al variopinto, vociante, fermento.

Il sole ormai è alto e dal mare arriva la brezza leggera; sotto l'ombra degli olmi si mangia, si ride, si chiacchiera, e i bambini non stanno mai fermi e corrono giocando tra le barche, sull'erba; ora l'allegro brusio, si fa più sommesso, la gente si alza; mentre le barche dondolano, ancora aspettando nell'alta marea il tempo è arrivato, è giunto il momento!

Verso le cinque, dopo il pranzo in compagnia, la partenza del corteo e delle regate di donne e dei giovanissimi; d'improvviso è silenzio, c'è una strana tensione nell'aria, e sembra che anche l'ombra del vecchio forte si protenda sull'acqua a vedere la partenza delle caorline.

Dietro, ancora in distanza, appare, leggera e veloce, la schiera festosa dei bambini, e i kayak dondolando danzano come petali bianchi sul verde dell'acqua, che ribolle di celeste e di bianco nelle scie degli scafi e nel tuffo elegante delle pagaie; ed ecco nel canale luccicante di oro e di azzurro, esultanti sui remi, a passo di battaglia, martellando l'acqua con le braccia protese, rossi di scaglie, come lunghi serpenti, fendere le piccole onde, maestosi i dragonboat.


Via!, un colpo di pistola schiocca rintonando nell'aria e rompe improvviso il silenzio; un fremito variopinto muove la gente assiepata sopra le sponde della darsena. Le nove caorline sfilano, arrancando svelte con le prore bianche di schiuma sul Canale San Felice; all'inizio tutte sono quasi affiancate.

Mentre i corpi allungati sui remi spingono insieme e , sei per sei, battono l'acqua con elegante cadenza, le caorline si schierano in traiettoria, sul filo della corrente, cercando di prendere stretta la curva che introduce nel Pordelio; dalla folla nelle barche e dalla riva, come un indistinto stormire di foglie, le voci alte e basse, e le grida lontane incitando, rincorrono le barche, ormai dentro al canale.

Con la calma dei forti, i poppieri più esperti, astuti e sapienti, aspettano gli ultimi cinquecento metri prima di sferrare l'attacco: dalla poppa alla sentina, dal lai fino al prodìn, arriva infine il comando aspettato, esaltante: ″premi, premi! daghe, daghe che 'ndemo via!″.

Decisi e leggeri i remi si abbassano e salgono insieme, in spinta e in ripresa; nel movimento c'è già tutta l'anima e tutta la forza dei regatanti; una caorlina, come per fotogrammi rallentati, avanza: in principio le differenze sono minime, tutti i remi sono ancora gagliardi, poi, una alla volta, le barche si accodano, ma nessuno vuol cedere e c'è ancora forza nella loro stanchezza, ma l'esperienza e lo stile dei primi, mettono ali nei remi, volando sull'acqua, e la barca fila via ormai priva di peso.

Prima del ponte, la teoria delle caorline ritorna ordinata, quasi compatta: qualcuno, scontento della sua posizione, prova ancora un attacco furioso e, sfidando il regolamento, sogna un abbordaggio fortunato; qualcuno aspetta la doppia curva del canale per tentare il sorpasso, e intanto gli equipaggi meno forti non sognano più, lentamente, inesorabilmente, perdono acqua e il serpente si allunga.

A far compagnia, ai regatanti nell'aria rovente, ansimante, ci sono sete e passione, sudore e stanchezza, ma l'incitamento dei paesani, che con le biciclette seguono attenti e veloci dalle rive, fa ritornare l'orgoglio e la forza, per un attimo qualcuno ancora guizza e vuol rimontare.

A Ca' Ballarin, quelli che stanno dietro sono rassegnati e stanchi, i primi soltanto, appaiono immuni dalla fatica e già pregustano il dolce sapore della vittoria; sembra di non arrivare più, per un attimo paiono mancare le forze, ma si guarda indietro, gli altri sono sfiniti, hanno perso lucidità e le loro vogate sono impacciate, non c'è più l'assieme iniziale.

Dopo la curva della Falconera ecco spuntare dall'acqua il vecchio campanile di Cavallino che, come un faro, mostra a tutti che l'impresa è quasi al suo termine; il ritmo si ricompone, il presagio della vittoria dà vigore e cadenza alle gambe, ai busti, alle braccia: con ritmo perfetto le pale dei remi battono l'acqua, entrano ed escono e, ormai la prima coarlina, con il suo inarrestabile abbrivio, è sotto al traguardo.

La musica squillante dei trombettieri in costume medievale accompagna, dal pontile, il trionfo dei vincitori, che rinnovano il ritmo deciso alle battute dei remi, per un attimo ancora, eleganti e precise nel movimento, come alla partenza.

L'orgoglio spazza via la stanchezza e mentre la fatica si nasconde nelle espressioni spavalde e soddisfatte dei regatanti, che si guardano ammirati gli uni degli altri, improvvisa esplode la gioa e di colpo alzano i remi, ormai senza peso come fuscelli, e come in un antico saluto di spade, ancora con la sfida negli occhi, salutano tutti: i paesani, i turisti, la gente.

Tra gli spettatori, sulle rive, mentre il colore opaco dell'aria e gli stanchi riflessi dell'acqua presagiscono la fine del meriggio assolato, intorno si diffonde un brusio, di commenti ammirati; però qualche voce è più alta, qualche parola più concitata: finalmente, come dev'essere, come è giusto che sia, come speriamo sempre sarà, scoppia il sanguigno rito delle polemiche finali; tutto sembra per un momento perduto, la gioa, la serenità, ma poi arriva l'orgoglio; ci sarà la rivincita: ″e allora, e allora!″

Rapidamente la scena si ricompone, non c'è più tempo per discutere, si torna a sognare, sta per arrivare la regata dei Campioni, il sole è ormai basso da accecare la vista; con le mani sopra la fronte, a fare da schermo alla luce radente, qualcuno già grida: " El bianco, el bianco xe primo" , un altro dispettoso risponde" no! xe el rosso; ma ti se orbo?", un altro fa eco, scherzando ″si bianco e rosso, menime casa!

Non passa molto tempo e già arrivano anche le gondole, eleganti, possenti; i campioni rubano la scena alle caorline e i più giovani, appassionati, chiudono gli occhi, sognando, e già sentono l'anima volare spingendo nell'acqua, frusciante, una gondola da regata.

Ci sono le Autorità, in festa tra la gente, contenti anche loro, e con gli sguardi sembra che dicano scherzando: ″Visto, che bravi che siamo, se non ci fossimo noi!″. Ah! come vorrei , solo per una volta, essere un politico anch'io.

Sul palco ci sono bandiere e premi per tutti, la piazza di Cavallino è in festa, grande; giochi, musica e bancarelle, odore di fritto e di ossetti, si canta e si balla, i turisti guardano increduli e trasognati; si manda qualcuno a prendere da mangiare e da bere, prima alla cassa, poi c'è la coda, finalmente arriva il vassoio.

Pese fritto e polenta, un piatìn de fasioi coe segoe, do goti de vin e una botiglia de acqua, frissante per la signora e i putei″ , si mangia, si beve, si parla ancora un po' di niente, ma poco, perché è estate e fa caldo, e poi ancora, di regate, e poi di contrade, e: ″el Palio xe beo, el Palio xe nostro, mai e poi mai nol deve morir″, nell'aria umida e calda c'è amore, c'è orgoglio, c'è gioa, c'è pace.

E intanto i bambini, spensierati e felici, corrono in giro e non stanno mai fermi.

Rischiamo di perdere tutto questo, per sempre, sentiamo un buco nell'anima e in bocca l'amaro sapore della sconfitta.

Lontano da noi voler criticare, lontano da noi voler insegnare. Vogliamo qui far sentire il sentimento di amore che ci lega alla nostra terra e alla nostre tradizioni, alla nostra gente, al ricordo dei nostri vecchi; non abbiamo pudore ad usare queste parole: ci rende forti il rimpianto che stiamo provando.

Siamo certi che chi come noi ha amato e si è speso, con passione e costanza, ci potrà capire e potrà apprezzare la nostra mano tesa ad aiutare in tutti i modi, con passione e rabbiosa tenerezza.

Dobbiamo unirci, riflettere decidere presto, subito. E' il momento di agire con tutte le nostre forze.

Noi non ci arrendiamo alla indifferenza, non ci arrendiamo al fatalismo, non ci arrendiamo alla banalità che tutto inghiotte: abbiamo mille idee, abbiamo mille forze; siamo abituati a combattere e combatteremo fino in fondo.

Ben sappiamo, d'altronde, di non avere in tasca tutte le verità, ma quello che sappiamo per certo è che se tutti quelli che non rimarranno insensibili a questo appello si uniranno a noi, insieme studieremo e agiremo.

Badate la nostra è buonafede, la nostra è passione, non credeteci ingenui. Il nostro è un grido accorato. Non abbiamo interessi da difendere; solo, sappiamo che l'unione non deve essere coalizione di egoismi, ma ideali condivisi.

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